Una cucina stereotipata che ha eliminato aglio e cipolla, rifiuta i tagli di carne più “selvaggi”, esorcizza i grassi, hanno talmente condizionato le osterie torinesi, per cui oggi se si vogliono assaggiare i piatti tipici della tradizione bisogna prenotarsi in quelle due-tre settimane in cui l’oste li rende disponibili.
Uno di questi è sicuramente la Bagna Cauda, il più conosciuto (e più disprezzato da chi non l’ha mai assaggiato) dei piatti della cucina piemontese.
Un intingolo caldo di acciughe dissalate, aglio ed olio, nel quale vengono “pucciate” verdure crude e cotte, quali cardo, peperoni, verza, finocchio, sedano, topinambur. Un piatto fra i più poveri della cucina piemontese, quando solo un intingolo “forte” poteva dare sapore alle “croccanti ed insapori” verdure strappate alla terra.
E così solo una geniale iniziativa marketing, il Bagna Cauda Day, ne poteva rivalutare la tradizione e valorizzarne il consumo. Ogni anno a fine novembre molti ristoratori organizzano una serata dedicata esclusivamente a questo delizioso piatto della tradizione. I colori del semaforo indicano il grado di purezza della ricetta: Rosso (l’originale, come Dio comanda), Giallo (con aglio stemperato, l’Eretica) e Verde (senza aglio, l’Atea).
I tantissimi appassionati, fra i quali mi annovero, non mancano mai a questo appuntamento, il cui successo è tale che bisogna prenotare con diverse settimane d’anticipo.
Il mio suggerimento è di andare il venerdì sera, e scegliere la versione ortodossa. In questo modo si ha l’intero fine settimana per riflettere “sull’esperienza mistica” provata dando modo agli eventuali effluvi evaporino prima di tornare al lavoro.