Blog

13 Gennaio 2022 0 Commenti

Non chiamateli grissini

Tutti conosciamo i grissini. E sappiamo che sono di Torino.

Pochi li comprano al supermercato. Molti però li sgranocchiano al ristorante. Io fin da bambino li ho sempre adorati. Forse per fame, o per la loro croccantezza, appena il cameriere li portava, aprivo una busta e smettevo quando erano finiti. Me ne vergognavo un po’ e nascondevo le affusolate bustine sotto il piatto.

A Torino ogni panetteria ha i grissini artigianali. Sono in bella mostra in lunghe ceste di vimini.

Ma guai a chiamarli grissini.

Ci sono i robatà (o rubatà), che significa rotolato, lunghi fino a 80 centimetri, dalla forma nodosa dovuta alla lavorazione rigorosamente a mano. O gli stirati (all’acqua o all’olio), molto più friabili in quanto vengono allungati (cioè appunto stirati) invece che rotolati.

Il segreto di un buon grissino, oltre all’impasto ovviamente, è l’abilità del fornaio di stenderli in modo quanto più uniforme possibile, per evitare che in fase di cottura le parti più sottili si brucino e quelle più spesse non cuociano a dovere. Negli ultimi anni l’offerta si è ampliata con l’utilizzo di farine speciali, oppure sono impreziositi con semi di sesamo, girasole o chia.

Come tutte i prodotti tipici italiani, consumati freschi hanno un sapore differente e un profumo invitante. Potete comprarli prima di partire in qualsiasi panetteria. Li infileranno in lunghissime e strettissime buste di carta e non chiedete di spezzarli per non intristire il panettiere.

Se riuscirete a non finirli durante il viaggio di ritorno, vi confido un segreto. Per mantenerli fragranti per più tempo possibile, conservateli all’aria aperta. Non ci crederete ma conserveranno per giorni e giorni friabilità ed aroma.

it_ITItaliano